Elezioni di Hong Kong: l’opposizione che non c’è più.

20-12-2021 10:36 -

GD - Roma, 20 dic. 21- Si sono appena concluse nel silenzio più totale le ultime elezioni del Parlamento locale di Hong Kong, ovvero quella regione semi autonoma che, a partire dal 1997, fa parte della Cina. Per l’ex colonia britannica queste fatidiche elezioni si sarebbero dovute tenere ancora l’anno scorso, ma vennero posticipate a causa della pandemia, dando così tempo alle autorità cinesi di applicare la tanto odiata legge sulla “sicurezza nazionale”.
Nel 2020, infatti, l’opposizione democratica di Hong Kong, ovvero quei partiti politici che si schierarono a favore di una maggiore autonomia per la città dalla Cina, poteva vantare un enorme consenso popolare dato soprattutto dalle enormi proteste verificatesi nel 2019 in favore della democrazia e contro le autorità cinesi. All’epoca i candidati vinsero a mani basse le penultime elezioni per i consigli distrettuali, lanciando un chiaro messaggio a Pechino. Ma ad oggi la situazione politica risulta completamente ribaltata e legge sulla sicurezza nazionale ha fatto il suo corso portando allo scioglimento della maggior parte dei partiti d’opposizione e all’arresto dei relativi leader.
La vigente legge vieta e criminalizza, infatti, qualsiasi atto di secessione, sedizione, sovversione e collusione con entità straniere contro il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, praticamente trasformando in reato qualsiasi attività critica o contraria al volere del Partito Comunista.
Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, mentre il mondo lottava contro la pandemia da Covid-19, le autorità cinesi, forti del sostegno di questa legge, hanno agito annullando la gran parte dei diritti politici dei cittadini di Hong Kong, reprimendo il dissenso, arrestando presunti dissidenti, costringendo alla fuga centinaia di persone e imponendo una nuova legge elettorale in grado di escludere i leader nemici del Partito Comunista Cinese.
La logica di conseguenza di tutto ciò è che quasi tutti i candidati eletti nel 2019 sono stati “squalificati” e sono stati eliminati i candidati “non patriottici”; solo uno sparuto gruppo di filogovernativi, o appunto di “patrioti”, ha avuto la possibilità di farsi eleggere.
Non deve, quindi, stupire il fatto che queste elezioni siano considerate una farsa da tutti gli osservatori internazionali e che il silenzio che le ha accompagnate sia totale, data la paura che serpeggia tra i cittadini di Hong Kong. L’unica arma che rimane nelle mani dei cittadini locali è il boicottaggio. Ma anche propagandare questa soluzione è motivo di reato, come dimostrato dagli ultimi arresti portati a termine dalle autorità cinesi.
Ma qual è la possibile ragione che spinge la Repubblica Popolare Cinese ad agire in maniera così diretta nei confronti dei suoi stessi cittadini? Analizzando a fondo la questione di Hong Kong si può rilevare da subito come negli interessi cinesi ci sia la volontà di porre fine alla concezione “una Cina due sistemi”, ovvero quella formula secondo la quale regioni come Macao, Taiwan e la stessa Hong Kong figurino come “regioni amministrative speciali” e godano di una certa autonomia politica, di cui ovviamente le altre province continentali non possono godere.
Nel caso di Taiwan la situazione risulta essere particolarmente complicata dato che l’isola stessa si considera sovrana ed indipendente, ed effettivamente gode del riconoscimento di ben 14 Stati, compresa la Santa Sede, mentre nel caso di Hong Kong e Macao la sovranità della Cina può essere data rispettivamente nel 1997 e nel 1999.
Ma in un Paese in cui a dominare la scena politica è un partito unico, ovvero quello comunista, risulta difficilmente credibile che possa profilarsi la vittoria di partiti “pro democrazia” e che, allontanato lo spettro dell’Inghilterra, si possano concepire regioni in cui vi siano maggiori libertà politiche rispetto a quelle concesse al resto del Paese. Inoltre come dimenticare i duri discorsi del premier cinese XI Jinping, in cui si affermava che chiunque si fosse opposto alla riunificazione “non avrebbe fatto una buona fine”.
In conclusione, risulta difficile stupirci del silenzio assordante che vige ad Hong Kong ed è lo stesso silenzio che ha accompagnato la vittoria obbligata dei filogovernativi.

Eugenio Cazzarolli
Analista geopolitico

Fonte: Eugenio Cazzarolli