Intelligence, Spionaggio e Diplomazia, un sottile confine

15-11-2021 10:59 -

GD - Roma, 15 nov. 21 - Giacomo Casanova diceva che «le sole spie confesse sono gli ambasciatori». Penso che avesse ragione e torto allo stesso tempo. Ragione, perché i messaggi degli ambasciatori veneziani erano veri modelli di “Relazione diplomatica”, dove accanto a considerazioni di ordine politico, economico e finanziario, emergevano anche elementi informativi di sicurezza nazionale. Torto, perché la missione degli ambasciatori, come nel corso dei secoli si era andata precisando, non era certo quella di “spiare”, ma piuttosto di promuovere la collaborazione in tutti i settori con il Paese di accreditamento, pur tutelando gli interessi del proprio Paese.
E per interpretare meglio la boutade di Casanova (lui stesso agente segreto per qualche tempo!), bisognerebbe chiarire il senso delle due parole che a torto riteniamo sinonimi e cioè Intelligence e Spionaggio. L'Intelligence riguarda il concetto di sicurezza dello Stato ed è, quindi, normale che il suo massimo rappresentante all'estero se ne occupi. Lo Spionaggio, invece, tende ad acquisire notizie con metodi illegali e con finalità non sempre ben determinate e non è questo ovviamente il compito del diplomatico. L'Intelligence esamina e valuta le notizie che riceve da diverse fonti, anche ”aperte”, a fini di prevenzione. Lo Spionaggio è aggressivo, l'Intelligence è difensivo. Lo Spionaggio tende ad arrecare il massimo danno possibile al nemico, l'Intelligence costituisce un Sistema di difesa del Paese dall'esterno e dall'interno.
Il motto di Casanova dà tutto il senso dell'ambiguità che persiste nel delineare i concetti di Spionaggio e Intelligence, in teoria distinti, ma in pratica non di rado tendenti a intersecarsi nelle modalità e nelle finalità. Di conseguenza, i rapporti tra il mondo dell'ombra e quello della diplomazia sono stati piuttosto contraddittori, a volte sfociati in commistioni, spesso in reciproca diffidenza, qualche volta invece in lavoro parallelo.
Rapporti determinati dall'oscillare appunto della bilancia informativa, che in determinate circostanza ha spinto verso attività di spionaggio vero e proprio (che i diplomatici non amano), in altre verso iniziative di intelligence (cui i diplomatici non si sottraggono quando necessario, trattandosi di sicurezza dello Stato).
Con l'evoluzione dello Spionaggio verso l'Intelligence, il lavoro degli agenti segreti si è gradualmente adeguato alle nuove esigenze, diventando per molti aspetti “parallelo” a quello dei diplomatici. Oggi l'agente d'Intelligence ha una visione molto più ampia della propria attività, non più quindi solo “militare/operativa”, ma anche “politica/valutativa”.
È chiaro, insomma, che il buon agente non deve essere più tutto audacia e tutto fascino, ma – con buona pace di James Bond – deve essere anche qualcuno che s'intenda di economia, capisca di finanza, sappia di relazioni internazionali, conosca la storia dei Paesi, sia esperto di informatica, parli le lingue (meglio se quelle rare). Una persona inoltre moralmente equilibrata e non politicizzata.
Ma…non sono queste le caratteristiche anche del buon diplomatico?
Le analogie tra le due attività sembrano in effetti evidenti. Non per niente l'MI6 Secret Intelligence Service, il servizio segreto inglese, è posto alle dipendenze dello stesso Foreign Office, il Ministero degli Esteri, tanta è l'importanza che si attribuisce a Londra all'interazione tra Diplomazia e Intelligence.
L'analisi dei rapporti di forza presso l'avversario, la valutazione degli equilibri politici e delle potenzialità economiche del Paese, lo studio delle alleanze in corso, possono portare a risultati eccezionalmente importanti nel prevedere l'atteggiamento del nemico potenziale. Insomma, non basta più la sola informazione e la disponibilità di dati fattuali (procurati dalle “spie” intese in senso classico), è invece necessario integrarli con elementi di analisi e valutazioni (prodotti dagli “agenti di Intelligence”).
Con la scomparsa del blocco comunista e la fine del mondo bipolare, l'attività dell'intelligence tende per forza di cose a farsi globale con la finalità ultima di scoprire… la verità nascosta. Ma anche il lavoro del diplomatico tende in definitiva a scoprire la verità. In che cosa consiste infatti il suo lavoro? Conoscere, analizzare, valutare e riferire.
E in che cosa consiste il lavoro di un moderno agente di intelligence se non “conoscere, analizzare, valutare e riferire”, lasciando ai decisori politici la responsabilità della decisione finale?
In conclusione, le crescenti analogie nelle funzioni di analisi e di valutazione, la minaccia globale che richiede inedite capacità sinergiche e rinnovate prospettive di coordinamento tra tutti gli enti che si occupano di Intelligence, le difficoltà di difendersi in un mondo radicalmente cambiato in cui i conflitti non sono più necessariamente generati da Stati o tra Stati, in cui il nemico non è più individuabile con certezza, sono questi tutti fattori che spingono l'Intelligence e la Diplomazia verso una più intensa collaborazione non solo sul piano interno ma anche, e soprattutto direi, al livello internazionale, nell'ambito di una coalizione o di un'alleanza.
Il mondo dell'intelligence e quello diplomatico hanno, dunque, tutto l'interesse a lavorare di concerto per la sicurezza della Nazione, condividendo, nei Paesi democratici, le stesse finalità: garantire la sicurezza interna, la pace internazionale e la difesa della libertà.

Amb. Domenico Vecchioni
Scrittore

Fonte: Domenico Vecchioni