Da Pechino a Tripoli, meriti (e abbagli) europei. Parla l’amb. Sessa

14-11-2021 18:34 -

GD - Roma, 14 nov. 21 - (Formiche.net) - Il sito del think-tank Formiche ha intervistato Riccardo Sessa, già ambasciatore a Teheran, a Pechino e alla NATO, capo segreteria di Giulio Andreotti a Palazzo Chigi. Fra Cina e Usa competizione inevitabile, occhio a Taiwan. Xi è già nella storia, un segretario-imperatore. Ultima chiamata per l’Europa: Libia e Difesa comune i veri test per l’autonomia tanto agognata.
Un anno fa, appena eletto presidente degli Stati Uniti, Joe Biden prometteva il «ritorno della diplomazia». Multilateralismo, alleanza fra democrazie, difesa dei valori occidentali i tre ingredienti del programma della nuova amministrazione democratica. Un anno dopo il mondo è cambiato, non sempre secondo i piani della Casa Bianca. Formiche.net ha fatto un bilancio con Riccardo Sessa, già ambasciatore dell’Italia a Pechino e alla NATO, consigliere di tre ministri della Difesa e capo della segreteria di Giulio Andreotti a Palazzo Chigi, oggi è vicepresidente della SIOI.
D.: Ambasciatore, un anno dopo l’elezione di Joe Biden, la tensione fra Stati Uniti e Cina è ancora alle stelle.
- Amb. Sessa: «È una fase di transizione, molto delicata. Non scopriamo oggi che Cina e Stati Uniti sono competitor, e le uniche due superpotenze mondiali. Bisogna spiegarlo a quest’Europa che coltiva sogni da terza superpotenza ma dimostra tutte le sue mancanze».
D.: Le minacce a Taiwan, l’escalation militare nell’Indo-Pacifico. C’è da preoccuparsi?
- Amb. Sessa: «C’è da preoccuparsi se Cina e Stati Uniti smettono di parlarsi. Alcune liturgie diplomatiche fondamentali, secolari, sono oggi messe in discussione. Ma guardiamo la sostanza. Cinesi e americani si sono chiusi per giorni in un hotel a Glasgow per trovare un compromesso sul clima. E lunedì Biden e Xi si parleranno in videoconferenza. È un passo avanti, senza la Cina non si può avere stabilità internazionale».
D.: E la Cina a sua volta cerca un suo nuovo equilibrio. Il plenum di Xi apre una nuova fase?
- Amb. Sessa: «Nuova sì, inaspettata no. Chi crede il contrario non conosce le fondamenta della storia plurimillenaria cinese. Con la risoluzione Xi Jinping non solo blinda la rielezione per un altro lustro al Congresso l’anno prossimo, ma entra nella storia e si inserisce nella scia di due grandi predecessori. Nel 1945 Mao, prima ancora di lanciare la Grande Rivoluzione, ha fatto fuori i suoi più grandi rivali con una reinterpretazione della storia cinese. Nel 1981 Deng ha fatto lo stesso, aprendo di fatto all’economia di mercato».
D.: A suo parere l’Occidente ha un’immagine distorta della Cina di Xi?
- Amb. Sessa: «L’Occidente fatica a capire il rapporto della Cina con la sua storia. Una storia che per i cinesi è millenaria e tale è percepita anche dal Partito comunista. Un territorio così sconfinato non può che continuare ad essere governato come un impero. Le faccio un esempio. Quando ero in missione a Pechino, cercai di far capire ai miei interlocutori cinesi l’importanza di trovare un’intesa con il Giappone, rivale storico, citando la riconciliazione franco-tedesca dopo la Seconda Guerra mondiale. Un professore mi ha risposto: “Per voi la storia è alle spalle, noi ce l’abbiamo di fronte».
D.: Però con Xi c’è una rottura col passato.
- Amb. Sessa: «Non sono d’accordo. Cambiano le politiche, più ancora della strategia. La Cina di Xi è più assertiva, ha abbandonato il basso profilo, ha come orizzonte ormai dichiarato il mondo, ma non ha rotto con il passato».
D.: Su quell’orizzonte si staglia anche Taiwan. UE e Stati Uniti possono restare a guardare?
- Amb. Sessa: «Taiwan è una linea rossa, c’è poco da essere ottimisti. Finora le schermaglie militari sono rimaste entro limiti accettabili e speriamo restino tali. La comunità internazionale deve impegnarsi per fermare l’escalation. Xi non farà passi indietro. "One China, One Country" per i cinesi, vuol dire semplicemente che Taiwan è Cina».
D.: Ecco, il partito. Presto anche Xi dovrà fare i conti con una società che cambia?
- Amb. Sessa: «Questo è fuori discussione. Ricordo un colloquio fra Giulio Andreotti e Deng sul parlamentarismo e le regole della democrazia. Deng gli confidò: “Lei parla di minoranze. Ha idea di quanti milioni di persone rappresenti l’1% di dissidenti in Cina?”.
D.: Quindi?
- Amb. Sessa: «Questo spiega il giro di vite di Xi sul piano interno, con una guerra a tutto campo contro la corruzione. La Cina, oggi come ieri, rimane una struttura verticistica. In testa c’è l’imperatore-segretario. Sotto, un gruppo di mandarini, i membri dell’Ufficio politico. La Città proibita di ieri, oggi, è diventata la stanza dei bottoni».
D.: Parliamo di Europa. L’autonomia UE è un abbaglio?
- Amb. Sessa: «L’Europa deve fare i conti con un principio di fondo: le organizzazioni internazionali sono ciò che gli Stati membri decidano che siano. Né più né meno. L’Europa stenta ancora a trovare una sua personalità. Rimane un’organizzazione a geometrie variabili, dove il più delle volte finiscono per prevalere gli interessi nazionali».
D.: Però anche gli Stati Uniti incoraggiano una limitata autonomia. Ad esempio nella gestione del vicinato, dal Mediterraneo ai Balcani.
- Amb. Sessa: «È vero, e lo è in particolare per quella che oggi è una grande sfida europea nel Mediterraneo, la Libia. Che, per adattare a quel Paese una famosa frase di Churchill sui Balcani, “produce molta più storia di quanto non sia in grado di consumare”».
D.: Alla conferenza di Parigi una nuova road map per le elezioni a dicembre. C’è da fidarsi?
- Amb. Sessa: «Difficile sperare in un miracolo, la Libia è e rimane un Paese profondamene diviso, e pensare che un voto, sia pure raccomandato dall’esterno, cambi il suo Dna a mio avviso è un’illusione. L’accordo di Parigi, purtroppo, ha basi molto fragili e dinamiche tribali interne. Comunque il fatto che i maggiori leader internazionali, da Merkel a Macron, da Draghi a Harris, vi abbiano messo la faccia può produrre qualche risultato».
D.: Chiudiamo sulla Difesa europea. Anche questa rimarrà sulla carta?
- Amb. Sessa: «Mi auguro proprio di no. Spero anzi che la forza di intervento che Borrell presenterà ai ministri lunedì possa essere operativa il prima possibile. Da anni gli Stati Uniti segnalano agli alleati europei che non possono più sostenere lo status di gendarmi del mondo, gli europei devono fare la loro parte, anche sul piano militare. Con una strategia che dovrà essere complementare, non alternativa, alla NATO».

Francesco Bechis

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Fonte: Formiche.net