La diplomazia del G20 e COP26: temi a confronto

06-11-2021 11:33 -

GD - Roma, 6 nov. 21 - È un buon esercizio di “pensiero critico” ripercorrere le varie interpretazioni date alle scelte sulle “politiche globali” appena dibattute al G20 di Roma e ora all'esame della COP26, la conferenza mondiale sul clima in corso a Glasgow. Analisti di varia formazione - giuristi, esperti delle relazioni internazionali, economisti, climatologi e tecnologi - hanno avuto ampia possibilità di esprimere le loro valutazioni sul web e sui principali quotidiani nazionali, ed è certamente interessante coglierne gli spunti critici, partendo ad esempio dalle posizioni radicalmente opposte.
Sullo storico quotidiano di via Solferino, il prof. Sabino Cassese riprende le frasi del premier Draghi: “è stato un successo, abbiamo mantenuto in vita un sogno” e si interroga: “È un successo sognare?”. La risposta è affermativa, indicando vari risultati positivi, tra cui: 1) l'affermazione del principio che il potere di tassare, simbolo della sovranità territoriale, sia sempre più legato ad un accordo con gli altri Stati (NdA - per assicurare misure omogenee, che evitino manovre di dumping); 2) l'esito ottenuto sulla mininum tax, la tassazione globale al 15 % che dal 2023 dovrebbe impedire alle grandi multinazionali del digitale e della farmaceutica di trovare facili paradisi fiscali; 3) la rimozione dei dazi tra Stati Uniti ed Unione Europea sulle importazioni di acciaio ed alluminio; 4) il “piccolo miracolo organizzativo” di un forum che, nato come un club esclusivo delle grandi economie, ha valorizzato il metodo del multilateralismo coinvolgendo vari attori e la società civile.
Il giudizio sulla COP26 è invece interlocutorio, laddove Cassese evidenzia la contrapposizione tra interessi mondiali e interessi nazionali, in cui specie le economie emergenti temono “la perdita di molti posti di lavoro”. In ogni caso il giudizio è positivo, con un invito a guardare con ottimismo il percorso in atto, che vede un lavoro intenso dei “fori di dialogo” e, in fondo, un periodo di “pace sistemica degli ultimi settantacinque anni”.
Sul fronte opposto, sui quotidiani schierati in genere con posizioni critiche rispetto all'attuale sistema delle istituzioni internazionali, specie economico-finanziarie, i giudizi sono decisamente più tranchant. Ad esempio, Nicoletta Dentico, già esponente di Medici Senza Frontiere, denuncia il mainstream di una “narrazione fuorviante di pompose epocali decisioni, travisando la realtà e apparecchiando il cinismo dell'opinione pubblica”. In particolare, sulla minimum tax ottenuta al 15% sostiene che è “appena superiore alle aliquote medie del 12% nei paradisi fiscali”, e che la scelta finirebbe per trasformare molte parti del mondo in un paradiso fiscale, atteso che, mediamente, nelle restanti parti del mondo l'aliquota media globale si attesterebbe sul 23,64%. Inoltre, essendo tra i principali sostenitori della sospensione dei brevetti dei vaccini Covid, Dentico accusa il G20 di non aver assunto impegni in tal senso. Con riferimento all'agenda climatica denuncia che “senza obblighi vincolanti e senza una rotta temporale (…) il G20 consegna alla COP26 declamazioni senza credibilità, perché ancora orientate alle vecchie ragioni della economia globalizzata”, mentre è improrogabile “un nuovo modello di sviluppo ecologico”.
Il contesto generale delle altre analisi è comunque variegato e complesso e indicarne solo alcune è una semplificazione arbitraria. Tuttavia, vale menzionare almeno altri due profili di approccio seguiti dagli analisti. Il primo riguarda lo “scetticismo propositivo”, con cui, ad esempio, Federico Fubini sul “Corriere della Sera” denuncia l'inadeguatezza degli impegni che già in partenza si stanno assumendo a Glasgow, mentre occorrerebbe puntare sulle nuove tecnologie “rinnovabili”, come la cattura, l'utilizzazione e il sequestro del carbonio, l'idrogeno e le piccole centrali nucleari “modulari” (che già alimentano sottomarini e portaerei). Il secondo profilo concerne l'approccio riconducibile ai concetti di “giustizia climatica” o “equità climatica”. Per Cina e India, in particolare, sarebbe perciò già tanto l'avere accettato il limite di 1,5° come obiettivo e di azzerare le emissioni, anche se rispettivamente entro il 2060 e il 2070, per due ragioni incontrovertibili: rispetto a Stati Uniti ed Europa, i due Paesi più popolosi del mondo hanno il rapporto sulle emissioni pro capite nettamente inferiore e, inoltre, sono approdati all'epoca dell'industrializzazione post-moderna solo in tempi più recenti. E secondo questo principio di equità occorrerebbe insistere sulla linea, in parte intrapresa dal G20, di incentivare alla transizione green i paesi meno ricchi favorendoli con aiuti economici.
Conclusioni? Al quinto giorno della CO26 i titoli dei giornali parlano della protesta a Glasgow di 10.000 ragazzi e della sfiducia di Greta Thunberg: "È chiaro a tutti che la COP26 è un fallimento". E allora si può concludere solo con un'osservazione e un invito, scontati: il confronto delle idee può portare a ritardi sulle decisioni da intraprendere, specie se, come si è visto, i temi sono complessi e divisivi. Tuttavia, gli argomenti delle giovani generazioni e degli scienziati e, soprattutto, le ultime catastrofi climatiche, chiamano comunque i leader politici alla loro responsabilità: riprovare nella ricerca di intese e decidere, senza aspettare altro tempo.

Maurizio Delli Santi
membro International Law Association
Associazione Italiana di Sociologia


Fonte: Maurizio Delli Santi