Afghanistan: è il momento delle scelte

16-09-2021 18:44 -

GD - Roma, 16 set. 21 - Gli ultimi resoconti sull'Afghanistan riferiscono di uno scontro cruciale tra la componente più moderata del governo talebano facente capo al vicepremier Baradar e quella più radicale del ministro dell'Interno Sirajuddun Haqqani, leader dell'omonimo clan ritenuto vicino ad Al Qaeda e persino filo-Isis. Vi sarebbe stato uno scontro fisico in cui Baradar sarebbe rimasto gravemente ferito da un colpo di arma da fuoco esploso dal rivale, ma la notizia non ha trovato conferma nelle fonti talebane, che sembrano ridimensionare l'accaduto.
Diversi analisti parlano di un rischio sempre più incombente di una guerra civile, per cui sarebbe urgente almeno l'azione diplomatica della comunità internazionale.
L'Alto Rappresentante della politica estera e della sicurezza dell'Unione Europea, Joseph Borrell, dopo l'ultima riunione dei ministri degli Esteri svoltasi in Slovenia, ha dettato la linea: per l'Unione Europea non si ammette un “riconoscimento” tout court del Governo costituito sotto la guida spirituale di Haibatullah Akhundzada, ma se ne potrà discutere alla verifica di cinque condizioni: 1) non diventare una base del terrorismo; 2) assicurare il rispetto dei diritti delle donne; 3) definire un Governo inclusivo; 4) far accedere gli aiuti umanitari; 5) consentire l'espatrio a stranieri e afghani a rischio.
Borrell ha anche annunciato la disponibilità ad attivare una sede diplomatica del Servizio per l'azione esterna dell'UE, che dovrà gestire in particolare i corridoi umanitari diretti nei Paesi limitrofi, ma anche in Europa.
Quest'ultima è una decisione lungimirante, che certamente consente all'Occidente di essere presente a Kabul, rinunciando al ripiegamento delle ambasciate sinora attuato da diversi Stati europei, fra cui l'Italia (anche per motivi di sicurezza, ma non solo), mentre invece rimangono presenti, non a caso, le rappresentanze diplomatiche di Stati come Russia, Cina e Turchia.
Ci sono importanti scadenze ad ottobre, fra cui la convocazione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e il vertice del G20, che si sta cercando di allargare anche ad attori esterni, come il Pakistan, il Qatar, l'Iran, la Turchia e ad altri paesi arabi, nonché alle Repubbliche asiatiche ex sovietiche confinanti, che sono state già interessate da un programma di aiuti europei per sostenere i primi flussi dei rifugiati afghani.
Tuttavia ogni ulteriore attesa comporta rischi gravissimi per l'aggravarsi della deriva autoritaria e oscurantista, se non anche per il deflagrare di un conflitto interno ancora più deleterio per la popolazione civile, di cui potrebbero approfittare anche Al Qaeda e l'Islamic State del Khorasan per rilanciare il jihad globale, e che potrebbe degenerare in una replica amplificata del caos libico, con l'intervento di vari attori esterni.
Allora è bene chiarire subito quali devono essere le iniziative da intraprendere. Primo: aiutare certamente la popolazione per tramite delle Nazioni Unite, la CRI e le Ong riconosciute.
Secondo: sostenere finanziariamente il Governo alle sole condizioni di accettare le altre rappresentanze in un Governo realmente “inclusivo” e di tutelare il sistema dei diritti.
Se i Mullah di Kabul chiedono “riconoscibilità” è bene vincolarla tassativamente a precise garanzie, e ciò è fattibile inducendoli a sottoscrivere i principali strumenti del diritto internazionale che garantiscono i diritti fondamentali: a cominciare dalle Convenzioni di Ginevra e dai protocolli aggiuntivi sulla protezione della popolazione civile per arrivare alla Dichiarazione universale sui diritti dell'uomo e ai Patti sui diritti civili e politici del 1966.
Ma si potrà pensare anche alla costituzione di una Commissione internazionale per l'accertamento delle discriminazioni basate sulla religione, sulla razza e sul sesso. E se si vuole essere ancora più stringenti, va pensata l'istituzione di un ufficio permanente della Corte Penale Internazionale, con un mandato esteso alla persecuzione femminile.
Se poi si vuole parlare anche con il loro stesso linguaggio, quello della cultura pashtun e del deobandismo cui i talebani orgogliosamente intendono rifarsi, allora si potrà loro richiamare anche l'editto di Ciro il Grande e la Carta di Medina, sottoscritta dallo stesso Maometto all'epoca dell'egìra, documenti universali che dall'antichità già vincolavano le popolazioni asiatiche e musulmane alle condizioni minime di rispetto della dignità umana.

Maurizio Delli Santi
membro International Law Association
Associazione Italiana Giuristi Europei


Fonte: Maurizio Delli Santi