Diplomazia pontificia: questione Afghanistan e visita card. Parolin in Ucraina

28-08-2021 16:23 -

GD - Città del Vaticano, 28 ago. 21 - (ACI Stampa) - Sarà una agenda pienissima, quella del Cardinale Pietro Parolin, che nei prossimi giorni sarà prima in Slovenia al Bled Strategic Forum, poi a Madrid per il II incontro dei leader cattolici latino americani, e quindi in viaggio con Papa Francesco in Ungheria e Slovacchia. Ma questa agenda è iniziata con un appuntamento quasi improvviso: la visita in Ucraina, dove ha risposto ad un invito della presidenza per partecipare ai 30 anni di indipendenza. Nel frattempo, la Santa Sede segue con attenzione la questione afghana, ed è intervenuta per la prima volta ufficialmente sul tema in una sessione speciale del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra. Anche la COMECE ha invitato i Governi ad accogliere i rifugiati, mentre proseguono le difficili operazioni di evacuazione.
La Santa Sede sull’Afghanistan - Ha colpito il silenzio di Papa Francesco, dopo un primo appello durante l’Angelus del 15 agosto, sulla difficile situazione umanitaria in Afghanistan. Ma era un silenzio necessario: qualunque informazione o parola poteva aggravare la posizione dei missionari cattolici, impegnati tra l’altro in difficili operazioni di evacuazione e speranzosi di poter tornare nel Paese. Padre Giovanni Scalese, a capo della missio sui iuris a Kabul, è riuscito a raggiungere l’Italia con quattro Missionarie della Carità e 14 bambini orfani e disabili da loro assistiti solo il 25 agosto, e ha fatto sapere che più volte era arrivato vicino all’aeroporto, senza però poter portare a termine l’evacuazione. Il silenzio diplomatico è dovuto anche ad una altra problematica: l’Afghanistan è tra i pochissimi Paesi al mondo a non avere assolutamente relazioni diplomatiche con la Santa Sede, nemmeno contatti informali. L’Islam è la religione di Stato e la missione cattolica che si trova in Afghanistan non ha nemmeno la possibilità di battezzare, ma semplicemente di garantire la cura pastorale degli stranieri. L’unica chiesa cattolica in Afghanistan si trova nell’ambasciata italiana ed è la conseguenza del fatto che l’Italia fu la prima a riconoscere l’indipendenza afghana nel 1919. Quando l’Afghanistan volle ricambiare il favore, l’Italia chiese, di fatto, un allargamento della libertà religiosa.
Quello che però la Santa Sede ha potuto fare è di parlare della situazione umanitaria alle Nazioni Unite. Lo ha fatto a Ginevra, il 24 agosto, alla 31esim sessione speciale del Consiglio dei Diritti Umani dedicato “Alle gravi preoccupazioni sui diritti umani e la situazione in Afghanistan”. In attesa della nomina di un nuovo osservatore a Ginevra, è stato monsignor John Putzer, incaricato di affari della Missione, a prendere la parola, per un breve, quanto significativo intervento.
Mons. Putzer ha ribadito che la Santa Sede chiede “a tutte l parti di riconoscere e sostenere il rispetto per la dignità umana e i diritti fondamentali di ciascuna persona, incluso il diritto alla vita, la libertà religiosa, il diritto alla libertà di movimento e il diritto a riunirsi pacificamente”.
La Santa Sede sottolinea che “in questo momento difficile”, è di “vitale importanza supportare il successo e la sicurezza degli sforzi umanitari nella nazione, in uno spirito di solidarietà internazionale, e per non perdere i progressi che sono stati fatti, specialmente nelle aree della sanità e dell’educazione”.
La Santa Sede si augura una “pacifica e veloce risoluzione delle tensioni in corso”, e resta “convinta che il dialogo inclusivo rappresenti il più potente mezzo per raggiungere la pace” e chiede “a tutta la comunità internazionale di passare dalle dichiarazioni all’azione, accogliendo i rifugiati in spirito di fraternità umana”.
Il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente del Comitato della Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) ha lanciato un appello ai politici dei Paesi dell’UE a favore del popolo afghano in fuga.
Parlando con il SIR, il card. Hollerich ha sottolineato: “L’unica cosa di cui stiamo discutendo è cosa fare per non avere un grande numero di profughi dall’Afghanistan piuttosto che andare in aiuto di queste persone. E questo atteggiamento mi provoca vergogna”. Il cardinale ha detto che gli fa male anche l’immagine del muro della Grecia, ha sottolineato che “non si parla più di rifugiati né di richiedenti asilo in base agli accordi di Ginevra. Si parla di migranti illegali e questo fa paura. Il muro è l’espressione di questa mentalità. Avevo sperato che il crollo del Muro di Berlino avesse segnato la fine del tempo dei muri. Ma non è così. Sono stati costruiti nuovi muri. A farlo non è il mondo comunista della nostra storia passata, ma è la società europea di oggi, occidentale, liberale, permissiva. Abbiamo perso la coscienza”.
Il cardinale ha sostenuto l’iniziativa dei corridoi umanitari, che considera “l’unica risposta alle crisi e alle emergenze che funziona. Abbiamo già campi in Libia per i migranti che vengono dall’Africa. E sappiamo benissimo in quali condizioni si vive in quei campi. Pensare ora di mettere le persone in fuga dall’Afghanistan in un campo profughi è come condannarle alla disperazione. Vorrei allora lanciare un appello all’Unione europea, agli uomini e alle donne impegnati in politica”.
Il card. Parolin in Ucraina - È stata una visita lampo, quella del card. Parolin in Ucraina. Arrivato il 23 agosto, Parolin ha partecipato a tutte le manifestazioni statali per l’indipendenza del 24 ed è poi ripartito il 25. Un solo incontro bilaterale, quello con il primo ministro Denys Shmihal il 23 agosto, cui ha partecipato anche il Ministro degli Esteri. Un incontro più informale con il presidente Volodymir Zelensky, incontrato nell’ambito delle cerimonie, ma con il quale non c’è stato un dialogo ufficiale. E due incontri che ci sono stati, ma che non sono parte dell’agenda ufficiale: quello con il Patriarca Bartolomeo, lui in Ucraina per cinque giorni sempre per la festa dell’indipendenza, ma anche per dare forza alla neonata Chiesa Ortodossa Ucraina, cui ha concesso l’autocefalia; e quello con Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, presidente del Consiglio delle Chiese e delle Organizzazioni Religiose di Ucraina e interlocutore costante della Santa Sede quando si parla di crisi umanitaria nella parte orientale del territorio.
Di questi due incontri, non ci sono foto, né comunicati ufficiali, né conferme, ma semplicemente perché – come ha specificato la nunziatura – il viaggio è considerato “strettamente protocollare” e segno di vicinanza all’Ucraina. La Santa Sede non voleva né essere coinvolta nelle questioni religiose, né dare l’idea di appoggiare questo o quell’altro partito.
Di che cosa si è discusso, dunque, con il premier Shmyhal? Il comunicato della presidenza del Consiglio Ucraina parla di un protocollo di intesa tra il Ministero della Saluta di Ucraina e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, la cui preparazione sarebbe arrivata allo stadio finale.
Ha detto il premier Shmyhal: “A luglio, il Ministero della Salute Ucraino ha inviato una bozza aggiornata in Vaticano. Speriamo che in settembre riceveremo l’approvazione ufficiale, in modo che i bambini ucraini possano finalmente ricevere cure in questo ospedale. L’Ucraina lo aspetta da sette anni”.
Secondo la presidenza del Consiglio ucraino, il Primo Ministro e il Segretario di Stato hanno anche discusso la nomina dei rappresentanti in entrambe le nazioni: la Santa Sede ha nominato nunzio in Ucraina l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, ordinato proprio dal Cardinale Parolin due settimane fa, mentre è vacante da tempo la posizione di ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede, che – secondo il Primo Ministro – sarà nominato a breve, in modo da “approfondire le relazioni tra l’Ucraina e il Vaticano. Crediamo che una area estremamente promettente sia di espandere le opportunità di cooperazione nel campo della cultura e, in particolare, di stabilire partnership permanenti tra Musei istituzioni culturali delle nostre nazioni”.
Shmyhal ha anche ribadito l’invito del presidente ucraino a Papa Francesco per una visita in Ucraina, magari in occasione del 20esimo anniversario della visita di San Giovanni Paolo II.
Una visita cade comunque in una situazione difficile in Ucraina, scossa da una tragedia umanitaria che ha visto la Santa Sede impegnata attivamente in iniziative come “il Papa per l’Ucraina”. Secondo osservatori in Ucraina, il presidente Zelensky vorrebbe la visita del Papa più per rafforzare le sue posizioni politiche che non per affrontare delle vere questioni religiose, e questo escluderebbe una visita del Papa in Donbass e nelle aree del conflitto, dove invece sono arrivati il card. Parolin e il card. Leonardo Sandri prima di lui. I cattolici in Ucraina sperano invece che un eventuale viaggio del Papa dia molto più risalto alla dimensione religiosa, con incontri con tutte le realtà della Chiesa impegnate sul territorio.
Sono temi sicuramente dibattuti, e che il card. Parolin ha riportato con sé. Alla sua partenza, il Cardinale era stato accompagnato in aeroporto dall’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevhcuk; dall’arcivescovo Miecslaw Mokrzcyky, presidente della Conferenza Episcopale Ucraina; e da Vitaly Kryvitsky, vescovo di rito latino di Kiev.
Al momento del congedo, l’arcivescovo maggiore Shevchuk ha ringraziato il card. Parolin per la visita e gli ha assicurato la preghiera costante.

Andrea Gagliarducci


Fonte: ACI STAMPA