Iran: amb. Formica, possibile rilanciare l’accordo nucleare

29-04-2021 14:35 -

GD - Roma, 29 apr. 21 - (Askanews) – I colloqui indiretti a Vienna sul ripristino dell’accordo sul programma nucleare iraniano, noto come JCPoA, concluso il 15 luglio 2015, continuano regolarmente. Il recente attentato all’impianto nucleare di Natanz in Iran e la successiva decisione di Teheran di portare al 60% il livello di arricchimento dell’uranio, infatti, non hanno interrotto la trattativa. L’ambasciatore Filippo Formica, già Direttore della non proliferazione al Ministero degli Esteri ed ex rappresentante permanente italiano all’AIEA Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ha spiegato ad Askanews che “è invece aumentato il senso dell’urgenza nel timore che uno stallo prolungato aumenti i rischi di escalation. I nemici del JCPoA a Washington, Teheran e in Medio Oriente sono numerosi. Né il fattore tempo gioca a favore del negoziato, laddove con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali iraniane di giugno la finestra di opportunità potrebbe chiudersi”.
La prospettiva di un rilancio del JCPOA, attraverso il ritorno degli Stati Uniti nell’accordo e il pieno adempimento da parte iraniana alle disposizioni dell’intesa, sembra adesso farsi più concreta. Secondo Formica, tuttavia, “non sarà semplice soddisfare le condizioni che ciascuna delle parti ha posto: gli americani hanno richiesto che l’Iran torni al rispetto degli obblighi imposti dal JCPOA, mentre gli iraniani pretendono, come primo passo, la levata di tutte le sanzioni introdotte dalla precedente amministrazione statunitense”.
Prima di lasciare la Casa Bianca, Trump aveva, infatti, costruito una fitta rete di sanzioni che sarebbe stato complicato districare; mentre alcune delle azioni iraniane contrarie all’accordo nucleare sono reversibili, altre invece, come quelle nel campo della ricerca e dello sviluppo ed i relativi progressi, non possono essere cancellati con un tratto di penna. La conferma del “breakout time” di un anno, cioè il tempo necessario per fabbricare materiale nucleare sufficiente per una bomba, qualora Teheran intendesse farlo, potrebbe richiedere nuove regole del gioco.
“Non è però una ‘missione impossibile'”, ha osservato ancora Formica, “la diplomazia ha una vasta gamma di strumenti a sua disposizione, ne sono una prova gli stessi colloqui indiretti intrapresi a Vienna. Al tempo stesso, non si tratta di una semplice questione di ‘coreografia’ dei passi che sia gli Stati Uniti, sia l’Iran dovranno intraprendere, e della loro sincronizzazione”.
Secondo il diplomatico, è indubbio che “il ritorno al JCPOA rimanga l’opzione più realistica per rimettere sotto controllo il programma nucleare iraniano. Di questo sembrano convinti anche gli americani, superati gli indugi sull’idea di mantenere le sanzioni come leva per spingere verso un nuovo accordo ‘più ampio e più forte'”.
La verità, ha continuato l'amb. Formica, “è che la strategia della ‘massima pressione’ sull’Iran non ha funzionato. La storia del negoziato con Teheran mostra che la pressione da sola non basta, se non è accompagnata da una forte impulso diplomatico, con il pieno coinvolgimento degli Stati Uniti. L’impegno del presidente Obama per arrivare all’accordo del 2015 ne è stato una prova”.
Pur di fronte alle nuove sanzioni dell’Amministrazione Trump, l’Iran non solo non ha cessato la sua politica di influenza nella regione, le sue attività di destabilizzazione e la proliferazione missilistica; ma valicando i limiti del JCPOA ha anche aumentato la quantità di uranio arricchito e il livello di arricchimento portandolo al 20% e da ultimo al 60%. Ha inoltre sviluppato ed installato centrifughe più performanti e ridotto la collaborazione con l’AIEA limitando così la capacità dell’Agenzia di accertare la natura esclusivamente pacifica del programma nucleare.
Il JCPOA, per contro, ha ricorda ancora Formica (che era presente a Vienna nel 2015 quando fu annunciata la conclusione dell’accordo), “al termine di un negoziato di 12 anni, aveva invece chiuso la strada verso la bomba, frenato per lungo tempo le attività nucleari iraniane, e sottoposto il programma atomico al regime di controlli e di verifiche più rigoroso mai messo a punto. In cambio l’Iran avrebbe beneficiato dei dividendi della distensione, in termini di benessere economico, sviluppo energetico e in termini di sicurezza. Benefici di cui peraltro non ha finora goduto”.
L’opzione di perseguire un nuovo accordo, sostitutivo del JCPoA, per inserire nel negoziato nuovi elementi, quali la sicurezza regionale e la proliferazione missilistica, altrettante preoccupazioni sia americane, sia di molti paesi vicini dell’Iran, non si è rivelata percorribile e non solo per l’opposizione dell’Iran. “Il JCPOA si era concentrato sulla questione nucleare: questa era stata la chiave per la sua conclusione positiva. Sarebbe stato irrealistico mettere sullo stesso tavolo centrifughe e terrorismo internazionale, uranio e questione siriana. La ricerca di soluzioni sui dossier regionali avrebbe potuto portare a compromessi di più basso livello sulla questione nucleare. C’è da aggiungere che gli accordi di non proliferazione quasi sempre fotografano la situazione esistente: nel nostro caso, l’ipotetica riapertura del dossier nucleare avrebbe reso più problematico il ritorno ai vecchi limiti del JCPoA. Sempre per ipotesi, se si fosse raggiunto un accordo con l’Iran nel 2004, dato lo sviluppo di allora del programma nucleare, il numero di centrifughe permesse sarebbe stato inferiore a quello poi consentito nel 2015”, ha sottolineato l’ambasciatore.
Le notizie che giungono dagli incontri di Vienna sono incoraggianti. Formica ha osservato che “ciò non vuol dire che tutti gli ostacoli siano stati superati, lo si vedrà nel prossimo futuro; né il rilancio del JCPoA, ove ci si arrivasse, rappresenterà la fine della storia, occorrerà, infatti assicurare la sostenibilità a lungo termine delle intese. In altre parole, sarà necessario collegare il ritorno al JCPoA, da realizzare a breve scadenza, con una prospettiva di più lungo termine”.
I limiti previsti dal JCPoA per alcune delle attività sensibili del ciclo del combustibile scadranno dopo 10/15 anni dall’adozione dell’accordo, cioè nel 2025/2030, la risoluzione del CDS 2231 (che ha adottato il JCPoA) termina a sua volta nel 2025. È chiaro che anche dopo queste date l’Iran sarà sempre sottoposto al Trattato di Non Proliferazione (TNP) e che l’attenzione della comunità internazionale per il rispetto degli obblighi di non proliferazione non verrà meno.
Nel dare notizia dell’accordo raggiunto il 14 luglio 2015 l’Alto Rappresentante dell’UE, Mogherini, e il ministro degli Esteri iraniano, Zarif, avevano evidenziato che il JCPoA creava le condizioni per la fiducia e segnava l’avvio di una nuova fase nelle relazioni tra le parti. Il negoziato con l’Iran sulla questione nucleare si era sviluppato, come si è detto, secondo i suoi meriti, al riparo dalle dinamiche regionali. Era tuttavia auspicio generale che la nuova era inaugurata dal JCPoA avrebbe aperto nuove opportunità anche con riguardo ad altre problematiche dell’area mediorientale. “Purtroppo non è andata così. La piena e duratura attuazione del JCPoA potrebbe, questa volta, in un rinnovato clima di cooperazione, costituire la base di partenza per successivi negoziati che affrontino i temi della sicurezza regionale e della proliferazione missilistica”, ha concluso l’amb. Formica.


Fonte: Askanews