Amb. Valensise: Le mosse d'Italia per riprendere ruolo nella sua Libia

25-03-2021 17:47 -

GD - Roma, 25 mar. 21 - (huffingtonpost.it) - Per avere successo la politica deve produrre fatti concreti, soddisfare aspettative, realizzare programmi, ma anche i simboli hanno la loro importanza. Dopo dieci anni di guerre, lutti e distruzioni, da poche settimane la Libia ha intrapreso una via promettente e in parte inattesa con la costituzione di un nuovo governo transitorio di unità nazionale. Il suo compito è di stabilizzare il Paese e traghettarlo fino alle elezioni nazionali del 24 dicembre prossimo.
Dai colloqui di Ginevra, svoltisi sotto l’egida delle Nazioni Unite, troppo spesso lapidate per burocratismo e inefficienza, è emerso un ticket di governo diverso da quello previsto o sperato dagli attori principali. In ogni caso, i negoziati ginevrini sono stati un successo. Il nuovo primo ministro, punto di forza del Governo, Abdul Hamid Dbeibah, ricco imprenditore di Misurata con un passato americano e uno stretto rapporto con il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, ha scalzato il candidato favorito, il potente ex ministro dell’Interno, Fathi Bashaga, anche lui misuratino. Ora a Tripoli l’atmosfera è relativamente tranquilla, mentre in Cirenaica si avverte maggiore tensione tra le fazioni locali.
Anche l’ampia fiducia ottenuta in Parlamento da Dbeibah (132 deputati a favore su 178 presenti) induce a un cauto ottimismo. Per più d’uno, con il nuovo governo si apre una stagione nuova, nella quale le armi potrebbero cedere finalmente il passo agli argomenti della politica e della diplomazia. Il confronto sembra agevolato anche dal pragmatismo del neo-premier, lontano dal furore ideologico prevalso in passato, come è pragmatica e spregiudicata, anche attraverso la concessione di consistenti benefìci economici ai clan, l’acquisizione del consenso. Ma la fase politica si consoliderà ormai definitivamente?
Bene ha fatto il governo italiano a segnare rapidamente un punto a suo favore con la visita a Tripoli domenica scorsa del ministro Di Maio, la prima di un responsabile politico Ue, che oggi è seguita da una sua ulteriore visita insieme ai colleghi francese Le Drian e tedesco Maas. Ancor più importante è l’annuncio della prossima missione del presidente Draghi in Libia il 6 o 7 aprile. Questa tempestiva serie di contatti dimostra una nostra rinnovata attenzione per gli sviluppi libici e una promettente disponibilità del nuovo governo di Tripoli a rialimentare il dialogo con Roma. In passato non sono mancate oscillazioni nella nostra linea, con una regia a volte incerta, tuttavia se questo è il momento dell’opzione politica condivisa, la voce italiana sarà ascoltata con attenzione.
Restano da chiarire due punti cruciali, disarmo delle milizie e ritiro dei combattenti stranieri. Sul primo, vedremo se l’approccio “transattivo” di Dbeibah sarà più efficace di quello securitario di Bashaga. Sull’altro punto, occorrerà far luce sulle intenzioni di Turchia e Russia. Le forze militari inviate da Ankara, in leggero ripiegamento, mantengono il vantaggio del partner (islamico) storico che nei mesi scorsi ha salvato Tripoli dall’attacco di Haftar. Il problema vero sono i mercenari russi della Wagner, schierati “a difesa” del perdente uomo forte di Bengasi. A che cosa puntano i russi, che ruolo avranno se il confronto diventa più politico e meno militare e alla fine con quale legittimazione?
Torna in primo piano l’attivismo degli sponsor stranieri dei diversi gruppi locali. Le attese sul fronte interno sono legate a doppio filo allo scenario internazionale. Biden ha già mostrato ben maggiore attenzione di Trump per l’area mediterranea, stringendo le maglie delle alleanze con Egitto, Emirati Arabi, Turchia e, nonostante le accuse, anche con l’Arabia Saudita. La pressione di Washington DC dovrebbe almeno scongiurare mosse avventate di quei Paesi in Libia.
Circa la Russia invece è lecito mantenere preoccupazioni più profonde. I miliziani della Wagner, dietro la cui natura “privata” le autorità russe cercano goffamente di nascondersi, continuano la costruzione di una lunga trincea da Sirte al sud, oggi dell’ordine di novanta chilometri. A che serve una nuova cesura fisica artificiale quando l’azione politica mira a consolidare l’unità nazionale? La dimensione dei lavori di scavo non sembra proprio preludere a un ritiro dei militari russi. La strategia del Cremlino, ammesso che sia ben definita, sembra quella più scontata, di piantare una bandiera in un’area nevralgica, a venti minuti di volo da Sigonella, riempiendo un vuoto prodotto da tante cause.
La assertività russa, per la quale la nuova amministrazione americana non è condiscendente come la precedente, nel Mediterraneo si tocca con mano. L’Ue purtroppo non è in grado di agire incisivamente. Nella partita in corso in Libia, pur senza stivali sul terreno l’Italia potrebbe ora contribuire non solo con i simboli alla stabilizzazione della Libia, prendendo l’iniziativa in raccordo con i maggiori alleati sui campi politico e diplomatico nei quali gioca meglio.

Amb. Michele Valensise
Dopo alcuni incarichi all’estero (Brasile, Germania, Libano, Unione Europea), è stato Capo del Servizio stampa della Farnesina e, poi, ambasciatore d’Italia a Sarajevo, Brasília e Berlino in anni intensi. Dal 2012 al 2016 è stato segretario generale del Ministero degli Esteri. È presidente per parte italiana di Villa Vigoni Centro italo-tedesco per il dialogo europeo

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Fonte: huffingtonpost.it