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Incubo Sahel: parla amb. Angel Losada Fernandez, rappresentante speciale dell’UE

14-02-2020 12:02 - Europa
GD – Roma, 14 feb. 20 – AffarInternazionali - Il diplomatico Ángel Losada Fernández è il rappresentante speciale dell'Unione Europea per il Sahel. A Roma per partecipare al workshop “The future of public goods in Africa”, organizzato dallo IAI, accetta di conversare con AffarInternazionali. La situazione del Sahel preoccupa in modo sempre maggiore la comunità internazionale. Dal Mali al Niger lo scorso anno le azioni dei vari gruppi jihadisti hanno provocato quattromila vittime tra civili e militari. C'è chi teme che cellule terroristiche possano impiantare nell'area un nuovo califfato. Le conseguenze del cambiamento climatico, oltre che l'insicurezza alimentare, contribuiscono a creare nella regione una situazione altamente critica e l'Unicef in questi giorni denuncia che 5 milioni di bambini avranno bisogno di assistenza umanitaria.
D.: Ambasciatore, l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, di ritorno dal Sahel ha denunciato la terribile emergenza nell'area: “Le persone stanno soffrendo, sono vittime di omicidi, le donne sono violentate e i bambini non possono andare a scuola… Il Sahel è il luogo in cui abbiamo il dovere di intervenire prima che questa crisi divenga ingestibile”. Cosa è possibile fare?
R.: “La situazione al momento è abbastanza grave perché il Sahel sta vivendo diverse crisi nello stesso momento. C'è innanzitutto la crisi politica riguardante il processo di pace in Mali. L'ho sempre detto, e lo ripeto qui: non avremo la pace nel Sahel se non c'è pace in Mali. Io sono il Rappresentante speciale dell'Unione europea per il Sahel nel processo di pace e in questa veste partecipo agli incontri sul tema. Ora il processo sta andando avanti, anche se a piccoli passi. La seconda crisi la identifico con la crisi della sicurezza che al momento resta la più grave. Non c'era sicurezza nel 2012, quando la Francia attuò l'Operazione Serval, e questa insicurezza determinata dai gruppi jihadisti si estendeva allora dal nord fino al centro del Mali. Oggi l'insicurezza si è estesa così tanto che ha portato alla radicalizzazione della popolazione, che non ha scelta se non quella di cadere nelle mani dei gruppi estremisti. Questi approfittano dei vecchi e tradizionali scontri tra pastori, nomadi, agricoltori e finiscono per sembrare gli unici in grado di conferire sicurezza al Paese. Questo è il vero problema che è necessario affrontare nel prossimo futuro, specie nelle regioni più fragili. La terza crisi è quella dello sviluppo. Parliamo dei Paesi più poveri al mondo, quelli del G5, composto da Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. Hanno un reddito pro capite inferiore a 500-600 dollari, che è veramente basso. Questo li colloca molto al di sotto della media dell'Africa subsahariana, dove il reddito pro capite è più o meno 1.400 dollari. Si registra inoltre una vera e propria esplosione demografica che, congiuntamente ai cambiamenti climatici, fa sì che ci siano al contempo più persone e meno terra disponibile. Alla luce poi degli scontri tra le varie comunità, la situazione sta peggiorando notevolmente. Sono comunque convinto che il problema più grande sia il vacuum dello Stato, non c'è alcuna presenza dello Stato. Bisogna lavorare con tenacia in questa direzione ed è quello che stiamo facendo come Unione europea. Siamo convinti che sia necessario procedere con un approccio adeguato di sicurezza e sviluppo e che vada di pari passo affrontato l'aspetto politico della situazione. Così vedo al momento la situazione del Sahel”.
D.: Un momento del workshop allo IAI a cui ha partecipato Ángel Losada Fernández
La regione è anche un crocevia di flussi migratori sempre più in mano a gruppi criminali che gestiscono i traffici di esseri umani.
R.: “Certo, versa in una crisi umanitaria. È conseguenza di quanto le ho detto finora. Il processo di pace in Mali e l'azione dei gruppi terroristici hanno creato molti rifugiati. A questo si associa anche la presenza di molte internally displaced persons, gli sfollati interni, persone che sono alla ricerca di posti più sicuri dove vivere”.
D.: Quanto è forte il rischio di un radicamento di un nuovo Califfato nel Sahel?
R.: “È difficile dirlo perché, come le dicevo, la crisi nel Mali del Nord è stata più o meno incanalata in un processo di pace, anche se questo procede a rilento. Dato che non c'è nessuna presenza dello Stato, i gruppi jihadisti stanno portando avanti un approccio strategico e persino intelligente, direi: stanno lentamente stabilendo la propria presenza in ogni villaggio, fornendo acqua, ospedali, moschee e madrase, creando pian piano consenso e avvicinando a sé gli individui. Si propongono insomma come gli unici in grado di fornire ciò che lo Stato dovrebbe garantire. Pensi che non c'è presenza di giudici, non esistono scuole, beni primari… e i jihadisti sono in grado di provvedervi. Questo è il vero pericolo e la situazione potrebbe progressivamente essere controllata da questi gruppi. Detto questo, credo che non siamo ancora prossimi a un nuovo Califfato, ma la strategia jihadista comincia lentamente a dare frutti ed è per questo che dobbiamo agire immediatamente come comunità internazionale. L'Unione europea in questo senso sta lavorando a una nuova strategia di approccio; sta, ad esempio, organizzando conferenze. So che le conferenze possono non sembrare un aspetto essenziale, ma l'obiettivo politico è di trovare coesione tra i Paesi europei ed è questo ciò che faremo il prossimo 26 marzo, quando ci sarà una importante Conferenza dei capi di Stato europei e del G5 e si cercherà in quel contesto di lavorare sulla sicurezza e lo sviluppo”.
D.: A proposito di Mali, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che invierà ancora più soldati francesi nel Paese e ha lanciato un appello, assieme ai membri del G5, all'Amministrazione statunitense perché mantenga il proprio presidio nella zona. Che idea si è fatto?
R.: “Ero a Pau con l'Alto Rappresentante dell'Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza quando il presidente Macron ha lanciato il suo appello. Il numero di soldati che i francesi invieranno, secondo recenti dichiarazioni, sarà di 600 unità. C'è però una nuova iniziativa chiamata Sahel Coalition che va ricordata. È fondata su quattro pilastri. Il primo riguarda la sicurezza e la lotta al terrorismo. Metterà insieme le forze dell'operazione Barkhane, le forze unite del G5, una nuova forza chiamata Takuba, che si sta sviluppando ora e nella quale gli europei possono partecipare su base bilaterale, composta da gruppi speciali con un ruolo particolarmente attivo. In aggiunta un nuovo battaglione dal Ciad. Tutto questo fa parte del primo pilastro della Sahel Coalition. Ci sono poi il secondo e il terzo che sono più o meno simili e che riguardano il capacity building, ovvero misure di stabilizzazione: apertura di scuole, di strutture amministrative, giudiziarie ecc. Il terzo punto riguarda il ripristino dello Stato, di cui come dicevamo non c'è alcuna presenza, e il quarto che ha a che fare con lo sviluppo. Probabilmente gli interventi dei primi due punti saranno messi in atto con il contributo dell'Unione europea. Per tornare alla domanda, quello che ha fatto Macron con il suo piano d'azione è stato di cercare di essere proattivo, ma in collaborazione con i Paesi del G5. Insomma non è solo compito nostro – degli europei o dei Paesi occidentali intendo – ma anche dei Paesi dell'area agire con responsabilità nelle proprie azioni”.

di Francesco De Leo
Giornalista, è direttore responsabile di AffarInternazionali.it, responsabile della comunicazione dell'Istituto Affari Internazionali. Per Radio Radicale, cura e conduce la trasmissione serale Spazio transnazionale.

https://www.affarinternazionali.it/2020/02/sahel-parla-losada-rappresentante-speciale-ue/


Fonte: AffarInternazionali
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