Il contribuente aveva proposto ricorso davanti alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, contestando la fondatezza della pretesa erariale e sostenendo che i redditi erogati dal consolato fossero esenti da tassazione ai sensi dell’art. 49 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari e in virtù di quanto disposto dal Ministero degli Affari Esteri – Cerimoniale II, con nota n. 022/4419 del 4 maggio 1998.
L’organismo fiscale territoriale, con una sentenza depositata il 15 giugno dello scorso anno, ha accolto in via definitiva il ricorso, riformando integralmente, per l’effetto, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale del 16 giugno 2021, che aveva respinto le contestazioni del funzionario brasiliano, condannandolo anche alla rifusione delle spese di lite, che la Commissione Regionale ha invece annullato.
Importante è il passaggio della sentenza in cui si afferma:
“qualora la normativa italiana fosse reputata divergente da quella della Convenzione di Vienna sotto questo profilo, e più restrittiva di questa, comunque per la primazia del diritto internazionale ogni norma nazionale incompatibile con la citata disposizione convenzionale sarebbe da ritenersi inapplicabile”. Inoltre “la norma impositiva italiana non potrebbe che recedere non solo nel caso di funzionario consolare residente fiscalmente in Italia ed avente cittadinanza estera, ma anche nel caso di funzionario consolare italiano residente fiscalmente in Italia ed avente doppia cittadinanza, non potendo il possesso della cittadinanza italiana (nel contemporaneo possesso di un’ulteriore cittadinanza) costituire causa idonea ad escludere l’applicazione dell’art. 49 della Convenzione di Vienna”. E quindi
“l’appello non può che trovare accoglimento, con conseguente riforma dell’appellata sentenza”.L’Agenzia delle Entrate non ha impugnato la suddetta sentenza, così che il principio esposto dai giudicanti è divenuto definitivo.
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