Ora, però, sul piano formale, la parola passa al Folketing. Il parlamento monocamerale danese deve adottare la decisione di revoca dell'
opting-out, che il Governo confida di trasmettere a Bruxelles entro il prossimo 1° luglio, conformemente all'art. 7 del protocollo del 1997, secondo cui la Danimarca può in qualunque momento, secondo le proprie norme costituzionali, informare gli altri Stati membri che non intende più avvalersi, in tutto o in parte, dell'esenzione.
L'assenso del Parlamento, previsto dall'art. 19 della Costituzione in tema di ratifica dei trattati internazionali, non dovrebbe incontrare ostacoli dato che alla decisione di revoca si sono dichiarati a favore 11 partiti, compresi quelli della coalizione di Governo, a guida socialdemocratica, su 14 e contrari soltanto due partiti euroscettici di estrema destra ed uno di estrema sinistra.
La partecipazione alla cooperazione europea in materia di difesa, come, ad esempio, all'operazione di
peacekeeping in Bosnia-Erzegovina, a quella antipirateria davanti alle coste della Somalia, alla cooperazione finalizzata allo sviluppo e all'acquisizione di capacità militari nel quadro dell'Unione, alla partecipazione all'Agenzia Europea per la Difesa, nonché ai progetti di cooperazione sulla cybersicurezza, comporteranno un significativo aumento del bilancio della difesa, contestualmente proposto dal Governo e già concordato in sede parlamentare, fino alla quota del 2% del PIL, stabilita in sede NATO (attualmente Copenaghen è circa all'1,5%), da raggiungere entro il 2033, con una spesa annua pari a circa 18 miliardi di corone danesi (2,38 miliardi di euro), che si aggiunge ad uno stanziamento di ulteriori 7 miliardi di corone, per i prossimi due anni, allo scopo di rafforzare le politiche in materia di difesa, diplomazia e aiuto umanitario.
Carlo Curti Gialdino
Vicepresidente
Istituto Diplomatico Internazionale