Da parte sua Massimo Giannini, direttore responsabile del quotidiano torinese "La Stampa", ha replicato all'esposto dell'amb. Razov: «Respingiamo con forza la lezione dell'ambasciatore russo Razov perché siamo sereni su quello che pensiamo e scriviamo, siamo un giornale libero che cerca di raccontare i nudi fatti. Un giornale che ha anche le sue idee e le propugna, le idee della liberal democrazia contro tutte le autocrazie».
Ed ha aggiunto: «Solo nel mondo alla rovescia di Santa Madre Russia, quella che piace a Putin, può accadere che un ambasciatore di un Paese che ha decretato la più sporca guerra contro una democrazia liberale possa intentare una causa contro un giornale, responsabile solo di raccontare quello che sta succedendo in quel Paese, dove appunto la Russia di Putin ha lanciato un'offensiva, 'operazione militare speciale' come la chiamano loro, che in realtà è una guerra vera che sta facendo vittime soprattutto tra i civili, sta distruggendo città, bombardando ospedali, scuole, aziende, palazzi qualunque cosa ci sia nell'orizzonte nefasto che secondo Putin va ricondotto a unità, come è successo a Grozny o ad Aleppo».
Giannini ha poi ricordato i due episodi dei giorni scorsi: la prima pagina con la foto che ritraeva una strage in Donbass con il titolo”'La carneficina”, «che non attribuivamo a nessuno, perché ci sta a cuore dimostrare la mostruosità della guerra», e poi l'articolo di Domenico Quirico «che raccontava una tesi ricorrente su tutti gli organi di informazione occidentali e non, e anche in molte cancellerie, secondo cui forse la cosa migliore sarebbe uccidere il tiranno, assassinare Putin. Ma Quirico articolava questa tesi», ha spiegato il direttore del 'La Stampa', «e concludeva: chi la sostiene si illude, perché se anche si potesse uccidere il tiranno, le cose peggiorerebbero ancora. Eppure questo è bastato per far dire a Razov che abbiamo aizzato a uccidere Putin, l'esatto contrario di quello che avevamo scritto». Giannini ha scritto ancora: «Questa è la Russia di oggi, guidata da un autocrate che chiude giornali e radio, che non possiamo dire faccia uccidere, ma succede, i giornalisti scomodi al regime. Un Paese in cui la libertà di informazione è declinata nella chiave utile sempre e soltanto alla verità del regime».
Giannini chiude il suo editoriale leggendo un brano del libro 'La Russia di Putin' di Anna Politkovskaja, «grande giornalista che ha avuto il coraggio di raccontare le malefatte del regime e ha pagato con la vita. 'Vogliamo essere liberi, perché amiamo la libertà', scrive. Anche noi la amiamo e continueremo a difenderla nonostante tutte le minacce e le intimidazioni, perché sappiamo di stare dalla parte giusta della storia».
«Consiglio all’ambasciatore russo di scegliere un traduttore di qualità migliore», ha detto Domenico Quirico, il giornalista autore dell’articolo incriminato, parlando con l’agenzia LaPresse. «È evidente che c’è stato un errore di traduzione o di comprensione dell’articolo», ha continuato il giornalista che poi ironizza: «Spero che quando la Russia scriverà trattati diplomatici si affiderà ad un traduttore migliore».
Le dichiarazioni dell'amb. Razov hanno sollevato numerose reazioni critiche e in difesa della libertà di stampa. Da parte sua il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha dichiarato: «La Stampa, come tutti i nostri organi di informazione, fa il suo mestiere: raccontare quello che succede, comprese le atrocità della guerra in Ucraina. In Italia la libertà di stampa è intoccabile. Avanti senza censure. Solidarietà a Massimo Giannini e alla sua redazione».